Casale del Giglio. Intervista a Paolo Tiefenthaler

Casale del Giglio, famosissima e storica azienda del Lazio, importantissima non solo per i numeri – ben 180 ettari vitati – ma perché ha ridefinito i canoni della viticoltura laziale e contribuito a sviluppare la cultura del vino. Storia, Visione e Progetti futuri: ne parliamo con l’enologo, Paolo Tiefenthaler.

Siamo nei pressi di Latina, località Le Ferriere, poco più a sud di Roma. Quando Dino Santarelli acquistò la proprietà, vi era solo un sogno e l’idea di produrre vino, avendo alle spalle una lunga tradizione di famiglia nel campo del commercio.

Un vino tutto da scrivere e inventare, in un’area territoriale ancora da esplorare dal punto di vista vitivinicolo. Anni di sperimentazioni e, sul finire degli anni ’80, il figlio Antonio Santarelli, inizia a scrivere una delle pagine più belle e innovative del vino laziale, grazie alla preziosa collaborazione con l’enologo Paolo Tiefenthaler.

«lo sviluppo futuro della vitivinicoltura Italiana non risiede solamente nel consolidamento dell’immagine di zone dalla grande tradizione, ma anche nel raggiungimento, attraverso opportune scelte viticole ed enologiche, di produzioni di alto livello, caratterizzate dal giusto rapporto qualità-prezzo, in territori ancora poco conosciuti dal punto di vista del loro potenziale qualitativo viticolo ed enologico».

Paolo Tiefenthaler. Un giovane enologo Trentino approda nell’agro pontino e ci rimane per oltre 30 anni. Cosa vi ha trovato?
Appena arrivato a Casale del Giglio per la “Vendemmia 1988”, ho trovato una realtà impostata essenzialmente su 3 vitigni: Merlot – Trebbiano – Sangiovese, coltivati a tendone come tutta la viticultura della zona, dove non c’era una logica di “vocazionalità” tra vitigno e territorio.
Devo dire però che, da subito, ho capito che le condizioni pedoclimatiche, molto particolari e favorevoli, permettevano di trovare il vero potenziale qualitativo di questo territorio. Si trattava di avere pazienza e osservare con attenzione lo sviluppo della natura stessa.

Casale del Giglio, è ormai la storia e una pietra angolare della storia del Lazio vitivinicolo. Come nacque il progetto? Quali furono le prime intuizioni?
Il progetto Casale del Giglio nacque con la messa a dimora di una collezione varietale di ben 57 vitigni diversi su un unico appezzamento, al fine di capire quali fossero le varietà che si adattavano meglio, anzi le varietà che riuscivano a trasmettere il vero valore di questa zona, indipendentemente dalla richiesta commerciale o dal nome che il vitigno portava.
LE prime intuizioni fu essenzialmente  il Syrah ed il Sauvignon Blanc, che ben presto, grazie anche al confronto con altre zone dove operavo, dimostrarono un potenziale qualitativo di assoluto valore.
Inoltre, date le mie origini trentine, capii che era possibile produrre vini di assoluta finezza ed eleganza, un po’ in contrasto con i vini molto strutturati di quel periodo.

Scienza e tecnica in vigna, per alimentare un percorso costante di innovazione. Quanto è importante nella tua attività?
La ricerca e la sperimentazione nella mia attività vinicola ed enologica hanno rappresentato, all’inizio, un aspetto importante ma non fondamentale.
Devo dire che la cosa che più mi ha aiutato e guidato, e ancora tutt’ora lo fa, è la curiosità, di quello che si nasconde dietro ad un clima, un terreno, una vigna, un grappolo d’uva ed un vino.
Questo spesso crea in me una continua insoddisfazione, perché penso che c’è sempre un qualcosa ancora da capire e da interpretare, ed è il vero sogno del mio modo di vivere il vino.

Ancora, quali sono stati gli esperimenti più significativi ed innovativi?
Non parlerei di esperimenti, bensì di intuizioni, prove e un po’ sogni. Certamente, l’avere capito che il sole e l’acqua sono un grande aiuto per la produzione di grandi uve, ma, al contempo, un limite se vengono male interpretatati. Nel caso della vinificazione, tutte quelle prove mirate a rendere un vino più longevo e non solo più aromatico, più strutturato etc.
Con la continua ricerca del massimo rispetto delle uve, durante la vinificazione, dove cura, precisione e pazienza fanno la vera differenza.

Mater Matuta e Madreselva. Storia di due vini ormai iconici. Ce li vuoi raccontare?
Il Mater Matuta rappresenta un po’ la mia anima e l’anima dell’azienda stessa,  un vino in cui l’unione delle due varietà Syrah e Petit Verdot da equilibrio ed è espressione del territorio.
Il Madreselva, invece, intercetta la specificità delle uve bordolesi, la cui coltivazione risente di una grande influenza del mare, un po’ come succede per altre zone viticole, dove la brezza marina è un elemento fondamentale per rendere i vini più eleganti.

I vitigni internazionali a Roma. Tra gli anni ’90 e inizio del 2000, Casale del Giglio ha contribuito alla diffusione della cultura del bere bene, soprattutto a Roma e nel Lazio. Cosa è cambiato da allora?
Nella Val di Cembra, in Trentino, mia terra di origine, l’autoctono è considerato un elemento sacro, non commerciale, tanto che non avrei mai piantato vitigni solo perché considerati “internazionali” o “autoctoni”, ma solo ed esclusivamente se avessero dimostrato di  trovarsi in perfetta simbiosi con il territorio.
In Agro Pontino nessuno aveva fatto in passato una simile ricerca, erano state piantate, infatti, varietà in base alla provenienza delle persone che hanno colonizzato questa zona ad inizio Novecento.
E’ cambiato, quindi,  che la scelta agronomica ora è frutto del rispetto verso il terreno, il clima e il vitigno. Con il tempo, siamo riusciti a creare una coscienza nei viticultori della zona, basata su questo fondamento.

La rivincita degli “autoctoni”. Dopo diverse incursioni e sperimentazioni su vitigni internazionali, ora la produzione si orienta sul Biancolella, Cesanese, Bellone. Con risultati peraltro strabilianti.
Gli autoctoni Bellone, Biancolella e Cesanese, dimostrano che chi è venuto prima di noi aveva piantato queste varietà perché erano quelle che si adattavano meglio al territorio, non avendo tutta la conoscenza tecnica e agronomica di difesa che invece possediamo noi oggi.
Ritengo prezioso il rispetto e l’osservazione di chi mi ha preceduto, due elementi fondamentali  per il mio lavoro, insieme alle scelte compiute e dettate esclusivamente dalla natura e non dai flussi commerciali.
Infatti, queste varietà esigono degli specifici territori e microclima, ed è il bello della natura, la forza della vita. Pertanto autoctono è natura, storia, vita, uomo,  che insieme danno la vera espressione di un ecosistema.
La sperimentazione e il mio lavoro a Casale si basano su questo fondamento, che forse in un futuro i vitigni piantatati rappresenteranno l’autenticità di questa zona.

“L’innovazione è il passato che abbiamo dimenticato” (Scabin). Cosa c’è di vero?
Confermo pienamente, anzi vivo e opero con questo pensiero.
Dettato anche dalle mie origini montanare, dove gli equilibri sono veramente fragili, e la mia Val di Cembra ne è una testimonianza, con 700 km di muretti a secco, che possono essere conservati solo se facciamo tesoro del passato.
Non potrei mai fare un vino senza aver seguito tutte le fasi fenologiche del vigneto, che vanno da stagione a stagione e che vanno interpretate ogni anno in modo diverso.
Le mie scelte tecniche nascono da un profondo amore per la vigna, ancor prima del vino.

Casale del Giglio. Uno sguardo al domani. Quali sono i prossimi progetti. Come e quale sarà il vino del prossimo decennio?
“Il Futuro inizia oggi non domani”, Papa Giovanni Paolo II.
I vini del futuro a Casale saranno longevi, ecosostenibili , sempre più espressione del Terroir  e dell’interazione tra uomo-clima-terreno-vitigno-storia.
Il mio sogno è lasciare una coscienza, ai contadini della zona, del vero valore e della specificità viticola che si nasconde in questo territorio.

DEGUSTAZIONI

Lazio Bianco Anthium IGT 2019.
Bellone in purezza, tra gli ultimi arrivati al Casale del Giglio. Uve provenienti da un vigneto nei pressi di Anzio, da piante a piede franco di oltre 60 anni. La vinificazione avviene in due fasi: macerazione sulle bucce per favorire l’estrazione degli aromi, che restituiscono così le caratteristiche pedoclimatiche del territorio anziate. Dopo la pressatura soffice, segue la fermentazione spontanea con lieviti indigeni, che si protrae per circa 10/12 gg. ad una temperatura di 18/20° C.
Dorato, offre tutta la morbidezza fruttata del Bellone, con note di mango e frutta tropicale, poi cenni di pepe bianco, muschio. Sorso largo e avvolgente, teso grazie ad un’acidità ben definita e misurata.

Lazio Bianco Satrico IGT 2019
L’azienda Casale del Giglio si trova nei pressi di un luogo sede di un’antico insediamento risalente al IX Sec. a.C: Satricum. Blend di uve Chardonnay 40%, Sauvignon 40%,Trebbiano Giallo 20%, con quote leggermente variabili in funzione dell’annata, il Satricum è un bianco di straordinaria piacevolezza e con un rapporto qualità prezzo imbattibile.
Giallo paglierino luminoso. Offre intensi profumi di pera, frutta gialla matura, agrumi e mineralità. Il Sauvignon contribuisce con sfumature vegetali. Struttura gustativa in sintonia con l’olfatto. Freschezza e sapidità portano verso una chiusura minerale con cenni di camomilla e ancora agrumi.

Lazio Bianco Viogner IGT 2019.
Vitigno d’oltralpe che nel centro Italia ha trovato ottima riuscita, il Viogner del Casale del Giglio spicca per solarità e patrimonio olfattivo. Interessante la vinificazione: “le uve sono raccolte in due tempi: una prima frazione nel momento della maturazione ottimale per preservare una buona acidità ed evidenziare così le caratteristiche varietali. Una seconda parte nel momento in cui le uve risultano molto mature (in leggera surmaturazione). Queste uve vengono sottoposte ad una breve criomacerazione (macerazione a freddo) a 7/8° C. per 8-10 ore. In quest’ultimo caso segue una pressatura soffice e lenta. La fermentazione si avvia spontaneamente e si protrae per circa 10 giorni ad una temperatura di 17/18° C. Conservazione in serbatoio inox sui propri lieviti fino alla primavera successiva a bassa temperatura (8/10° C) onde evitare la fermentazione malolattica.”
Giallo paglierino luminoso. Quadro olfattivo dolce, con note floreali di acacia, gardenia, ginestra, ricordi di vitigni aromatici, note di rosa bianca. Sensazioni fruttate. In bocca dimostra una buona acidità che tende a coprire la sapidità ed è comunque ben bilanciata da una struttura morbida, rotonda.  

Lazio Bianco Antinoo IGT 2018.
Ad inizio dello scorso secolo, fu ritrovato proprio nei pressi di Casale del Giglio un bassorilievo che ritraeva Antinoo, giovane greco, vissuto nel II secolo d.C. Oggi è un bianco, blend di Chardonnay 66%, Viogner 34% che subisce un affinamento in tonneaux e barrique (solo per una piccola parte dello Chardonnay) dove viene svolta la fermentazione alcolica e malolattica.
Paglierino con riflessi dorati, luminosi. Sfumature floreali, lasciano riconoscere il Viogner, poi evidente la nota minerale e sensazioni di frutta matura e frutta secca. Morbidezza e avvolgenza che si contrappongono alla freschezza. Pieno e minerale, persistente.

Lazio Rosso Matidia IGT 2018.
Nuovo arrivato tra i rossi al Casale del Giglio. Prende il nome da una nobildonna romana, che fu nipote dell’imperatore Traiano e suocera dell’imperatore Adriano. Le fu dedicato un tempio nel Campo Marzio a Roma, che doveva corrispondere all’attuale chiesa di Santa Maria in Aquiro in Piazza Capranica, luogo storico, molto caro alla Famiglia Santarelli in quanto lì ebbe inizio la loro attività di mercanti di vino.
Matidia è prodotto esclusivamente con uve di Cesanese provenienti da un vigneto di 30 anni a cordone speronato in gestione nella zona di Olevano Romano. Terreno calcareo vulcanico con esposizione ad est a 500 metri s.l.m. Affina in parte in acciaio e in parte in tonneaux per 12 mesi.
Porpora intenso. Subito riconoscibile per i toni floreali di violetta, poi mora di rovo, lampone, toni balsamici, resina. Sorso morbido, caratterizzato da un tannino finissimo, setoso e ritorni coerenti con i profumi. Un cesanese “fuori zona”, autentico campione di eleganza.

Lazio Rosso Mater Matuta IGT 2016.
Nell’antica città di Satricum, nei pressi del Casale del Giglio, fu edificato un tempio dedicato alla dea dell’aurora, protettrice della vita nascente e della fertilità: Mater Matuta.
Il Mater Matuta  è un blend di Syrah e Petit Verdot con quote di circa 80% e 20% ma che in passato ha visto una maggior presenza del Petit Verdot (Nell’annata 1999 era al 40%).
Le uve per entrambe le varietà vengono raccolte in ottimo stato di maturazione, talvolta leggero appassimento per il Syrah. La vinificazione prevede per i due vitigni tecniche diverse. Il Syrah fermenta con lieviti indigeni secondo la tecnica del cappello sommerso per un periodo di 18–20 giorni, durante i quali avvengono periodici “délestage” soprattutto nelle fasi iniziali. Il Syrah conferisce così al Mater Matuta complessità e carattere, con tannini dolci e profumi intensi di marasca e spezie. Per il Petit Verdot invece, la vinificazione avviene mediante l’uso di follatori che consentono la massima estrazione di tannini e sostanze polifenoliche. Nasce così un Petit Verdot di grande corpo e struttura che ben si presta a lunghi invecchiamenti. Dopo attenta svinatura, dove la movimentazione delle vinacce avviene solo per gravità, i vini vengono messi separatamente in barriques nuove per 22–24 mesi.
Rosso rubino con riflessi porpora, lucido, luminoso. Sensazioni essenziali di frutta, speziatura dolce, vaniglia, nota di inchiostro, cenno incipiente di tabacco da pipa. Acidità e tannini ben integrati con la morbidezza. Sorso affusolato, levigato. Persistenza lunghissima, finale minerale, con ricordi di grafite.

Lazio Rosso Tempranijo IGT 2018.
Uve Tempranillo 100%, vitigno di origine spagnola vitigno di origine spagnola coltivato nella Ribera del Duero e in Rioja. Ottenuto da uve che hanno raggiunto un grado di maturazione piuttosto avanzato, talvolta con leggero appassimento in pianta. La vinificazione ha inizio con una macerazione a freddo. Fermentazione spontanea e molto lenta. Una ulteriore fase di macerazione avviene sulle bucce, post fermentazione, per altri 12/15 giorni, per estrarre la maggior quantità possibile di tannini. Affinamento in tonneau di ciliegio solo per una piccola frazione che varia dal 15 al 20% del totale.
Rubino smagliante, quasi porpora. Sensazioni alternate tra una componente fruttata, di amarena, e accenti minerali di grafite e polvere pirica. Bocca avvolgente, morbida (residuo zuccherino di circa 6 g/l). Tannino vivido. Tocco vegetale di ruta e mirto sul finale.
(Nota a margine: di questo vino uscì per un periodo anche la versione passito di cui ho un ottimo ricordo e ne riporto le note di degustazione: impenetrabile e concentrato. Evidenti sensazioni di prugna, ciliegia sotto spirito, confettura di rosa. Ricordi di Sherry, nocino. Gioca tra dolcezza e tannino con ritorni di amarena, viola ed erbe aromatiche).